
Come vengono tassate le aziende in Italia? Vediamo insieme quali sono le principali imposte e come funziona il sistema tributario italiano
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L’argomento non è certo dei più entusiasmanti e spesso gli imprenditori non vogliono pensarci, ma chi decide di avviare una startup (o, più in generale, un’azienda) deve necessariamente sapere quali tasse dovrà pagare.
Quella della tassazione delle imprese in Italia è una materia oscura per molti, ma su cui faremo maggiore chiarezza nelle prossime righe; se anche tu non sai quali sono i regimi fiscali previsti in Italia, non conosci la differenza tra tasse e imposte e non sai cosa significhino le parole IRES, IRPEF, IRAP e IVA, faresti bene a proseguire nella lettura.
I regimi fiscali
Sapere cos’è un regime fiscale (o regime contabile) è una necessità per ogni imprenditore: un regime fiscale è l’insieme di regole e procedure che aziende e professionisti devono osservare e seguire per risultare in regola sotto il profilo fiscale e legale.
Devi considerare che, proprio in base al regime fiscale, cambia il modo in cui devi tenere la contabilità, perché sono previsti precisi adempimenti da assolvere.
Analizziamo i tre principali regimi fiscali presenti in Italia, tralasciando per ora quelli riservati a particolari categorie economiche (tabacchi, carburanti, etc):
- il regime ordinario;
- il regime semplificato;
- il regime forfettario.

limiti di fatturato dei regimi fiscali
Il regime ordinario prevede l’adempimento di tutti gli obblighi previsti dal Codice Civile, tra cui la redazione del bilancio annuale e la sua pubblicazione. Rientrano obbligatoriamente in questo regime fiscale le società di capitali, le società cooperative e assicuratrici, le associazioni e gli enti il cui oggetto esclusivo o prevalente è l’attività commerciale, le attività non residenti in Italia (a meno che non rispettino i requisiti d’accesso al regime forfettario). I limiti che, se superati, comportano il passaggio al regime ordinario, sono fissati a 500 mila euro di ricavi annuali per le attività che vendono servizi e a 800 mila euro per le altre attività.
Chi ha accesso al regime semplificato ha obblighi contabili minori (per esempio non deve depositare il bilancio annuale) rispetto al regime ordinario. Possono accedere le società di persone (sas oppure snc) e le persone fisiche che esercitano attività commerciali come ditta individuale e che decidono o non possono aderire al regime forfettario, ovviamente con l’obbligo di adottare la contabilità ordinaria al superamento dei limiti di ricavi, come già esposto, pari a 500 mila euro per i prestatori di servizi e a 800 mila euro per le altre tipologie di attività.
Il regime forfettario è l’unico regime fiscale agevolato previsto in Italia. La Legge di Bilancio approvata dal governo Meloni sul finire del 2022 ha ampliato la platea di beneficiari della Flat Tax al 15%, aumentando il limite massimo di ricavi o compensi da 65 mila euro a 85 mila euro. Non solo: la Manovra di Bilancio prevede anche che chi dovesse raggiungere i 100 mila euro di ricavi o compensi nel 2023 uscirà dalla tassazione agevolata, mentre chi resta tra gli 85 mila euro e i 100 mila euro resterà nel regime forfettario per l’anno in corso, fuoriuscendo solo da quello successivo.
Ricorda che la scelta del regime fiscale è legata a differenti fattori, a partire dalle caratteristiche della tua attività. Tra gli aspetti che devi considerare c’è, però, anche il reddito che prevedi di raggiungere con la tua impresa e i costi da sostenere (chi ha maggiori spese potrebbe trovare più conveniente il regime ordinario o semplificato rispetto al forfettario).
L’importanza di conoscere la normativa

tipi di tributi
Conoscere la normativa fiscale prevista in Italia non ti permette solo di evitare di commettere errori che potrebbero crearti grandi problemi a livello economico e legale: avere coscienza di ogni aspetto di questa complicata materia e procedere, di conseguenza, a una corretta pianificazione fiscale strategica, ti consente di avere un controllo completo sui costi e, laddove possibile, di ridurre (e, in alcuni casi, abbattere significativamente) il tuo carico fiscale, ovviamente in maniera assolutamente onesta e legale.
Prima di esaminare nel dettaglio la tassazione esistente in Italia, ti è utile sapere che Il sistema tributario italiano si ispira a criteri di progressività e, quindi, la tassazione media applicata al contribuente persona fisica aumenta in maniera proporzionale al reddito. È importante che tu sappia anche che i tributi si dividono in:
- imposte, ovvero prestazioni obbligatorie in denaro dovute dal contribuente, in relazione alla propria capacità contributiva; con tali entrate lo Stato finanzia le spese per la realizzazione di opere e servizi pubblici a beneficio di tutta la collettività, quali la Sanità Pubblica. Sono imposte, per esempio, Irpef, Ires ed Irap.
- tasse, ossia somme di denaro versate in cambio di una prestazione o un servizio destinati ai singoli cittadini. Un esempio di tassa è quella per i rifiuti, la Tari o la tassa di registro sui contratti di locazione;
- contributi, cioè prelievi da parte dello Stato a determinati contribuenti che beneficiano obbligatoriamente di un servizio o bene pubblico. L’esempio che tutti conosciamo sono i contributi Inps che un datore di lavoro versa per i suoi dipendenti.
Le imposte, a loro volta, si suddividono in:
- imposte dirette, che colpiscono il reddito del contribuente direttamente e in misura proporzionale (IRES) o con aliquote progressive (IRPEF);
- imposte indirette, che colpiscono il reddito del contribuente indirettamente, in relazione ai consumi e ai trasferimenti di ricchezze (un esempio è l’IVA).
Quali tasse pagano le aziende in Italia? E quando vanno pagate?
È il momento di entrare nel vivo della questione e capire quali tasse devono pagare le aziende in Italia.
Devi sapere che, nonostante il monito di Mario Draghi
“Imposte elevate si traducono in meno autofinanziamento, meno patrimonio, minor capacità di far credito”,
in Italia le piccole e medie imprese hanno un carico fiscale complessivo particolarmente alto: stando ai dati CGIA del 2020 è pari al 59,1% dei profitti, inferiore solo a quello della Francia, in Europa.
In riferimento alle imposte principali a cui sono assoggettate le imprese in Italia bisogna distinguere tra imposte dirette e indirette.
Imposte dirette

IRES-IRPEF
Tra le imposte dirette che le aziende e i professionisti devono pagare in Italia spiccano l’IRES (imposta sul reddito delle società) e l’IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche).
La prima è un’imposta proporzionale che colpisce il reddito prodotto dalle società e si calcola, applicando un’aliquota fiscale unica (attualmente fissata al 24%) e corrisponde a quella che nel resto del mondo è nota come Corporate Tax. Il pagamento avviene tramite un meccanismo di acconto e saldo e le scadenze sono fissate al 30 giugno (o fine luglio o fine agosto ma con maggiorazione) per la prima rata e al 30 novembre per la seconda rata.
Devono pagare l’IRES:
- le Spa;
- le Sapa;
- le Srl;
- le società cooperative e di mutua assicurazione;
- le società europee e le società cooperative europee che risiedono in Italia;
- gli enti pubblici e privati residenti in Italia;
- le società e gli enti di ogni tipo, inclusi i trust, per i redditi prodotti in Italia.
L’IRPEF è un’imposta dovuta dalle persone fisiche, è progressiva con aliquote crescenti a scaglioni, che grava sul reddito imponibile complessivo. A partire dal 2022, gli scaglioni previsti sono 4 (aliquota al 23% per i redditi fino a 15 mila euro, al 25% fino a 28 mila euro, al 35% fino a 50 mila euro, al 43% per redditi superiori ai 50 mila euro).
Il meccanismo di pagamento prevede un acconto relativo all’anno in corso e un saldo riferito all’anno precedente. A seconda dell’importo, l’acconto è pagabile in una rata (entro il 30 novembre dell’anno di imposta) o in due rate (entro il 30 giugno, assieme al saldo dell’anno precedente, e entro il 30 novembre).
Sono soggetti al pagamento dell’IRPEF:
- i lavoratori dipendenti;
- i lavoratori autonomi;
- le imprese individuali;
- le persone fisiche con redditi da un capitale o fondiario.
Una menzione a parte la merita l’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive): la Legge di bilancio 2022 ha definitivamente abolito l’IRAP a partire dal 2022 per lavoratori autonomi, ditte individuali e professionisti, che in questo modo si sono aggiunti a chi aderiva al regime forfettario, che era già escluso. Devono ancora pagare l’IRAP, invece, gli studi professionali associati, le società di persone, le società di capitali, gli enti commerciali e quelli del terzo settore.
Imposte indirette
La principale imposta indiretta è l’IVA, cioè l’imposta sul valore aggiunto. Si tratta di un’imposta che grava, per l’appunto, sul valore aggiunto di un bene o servizio venduto, che i titolari di partita IVA devono liquidare e versare su base mensile (entro il 16 di ogni mese) o trimestrale. Entro il 27 dicembre di ogni anno, inoltre, i titolari di partita IVA devono versare anche un acconto.
Generalmente, questo tributo incide sulle tasche del consumatore finale, perché le aziende eventualmente versano l’IVA soltanto sulla differenza fra le vendite e gli acquisti, effettuando una Liquidazione che può, appunto, essere a credito o a debito. In Italia, l’aliquota ordinaria IVA è pari 22%, ma tieni a mente che per determinati beni e servizi sono previste aliquote ridotte (al 10%, 4% e al 5%).
Addizionali regionali
Forse non sai che, alla già citata imposta sul reddito delle persone fisiche, bisogna aggiungere anche l’addizionale IRPEF su base regionale e comunale.
L’addizionale regionale all’IRPEF si applica al reddito complessivo determinato ai fini dell’IRPEF nazionale e va versata se, per lo stesso anno, risulta dovuta l’IRPEF. Ogni Regione o Provincia autonoma può stabilire l’aliquota entro i limiti fissati dallo Stato italiano.
Addizionali comunali
Al pari di quella regionale, anche l’addizionale comunale all’IRPEF è un’imposta applicata al reddito complessivo determinato ai fini dell’IRPEF ed è dovuta se, per lo stesso anno, risulta dovuta l’IRPEF. Ogni Comune d’Italia può istituirla e stabilire l’aliquota e l’eventuale soglia di esenzione nei limiti fissati dalla legge italiana.
I contributi INPS
Gli stipendi erogati sono, ovviamente, un’altra importante voce di spesa per le aziende italiane. Ricorda che, agli stipendi netti, le imprese devono aggiungere anche le già citate IRPEF e le addizionali regionali e comunali, i contributi INPS, l’INAIL e le altre eventuali trattenute previste dal loro settore di riferimento.
Facciamo ora chiarezza sui contributi INPS: i contributi previdenziali sono quella somma che viene obbligatoriamente e periodicamente pagata dal datore di lavoro per garantire un determinato importo al dipendente per eventuali periodi di malattia o maternità e soprattutto per la pensione che potrà godersi al raggiungimento di una determinata età.
L’aliquota contributiva interessa sia i lavoratori che il datore di lavoro, ma è quest’ultimo a versare sia i contributi a suo carico che quelli a carico del lavoratore. L’aliquota dipende da diversi fattori, come la tipologia di lavoro dell’assicurato e la sua qualifica, ma anche l’attività svolta dall’azienda, le dimensioni della società e la sua configurazione giuridica. Un altro aspetto da considerare è, poi, il fondo previdenziale a cui è iscritto il lavoratore.
L’assicurazione obbligatoria (INAIL)
Come già anticipato, le aziende sono anche tenute obbligatoriamente a stipulare a beneficio di tutti i loro lavoratori la polizza assicurativa INAIL. In termini più concreti, i datori di lavoro devono versare ogni anno un premio assicurativo, calcolato moltiplicando le retribuzioni imponibili dei dipendenti per il tasso applicato dall’INAIL (che varia in base all’attività lavorativa svolta e al settore di pertinenza dell’azienda).
Detrazioni e deduzioni
Per avere completa padronanza della materia che riguarda la tassazione in Italia devi conoscere anche cosa sono detrazioni e deduzioni, due concetti differenti anche se fanno entrambi riferimento a agevolazioni fiscali che permettono di usufruire di sconti da parte del Fisco.
Li leggiamo spesso usati come sinonimi, ma operano in momenti diversi nel calcolo delle nostre tasse.
Con “deduzione” ci riferiamo a particolari oneri deducibili che ci consentono di ridurre la base imponibile, ovvero il reddito sul quale andremo a calcolare le tasse. Tali oneri possono avere natura molto diversa tra loro a seconda che parliamo di impresa individuale o professionista, società o dipendente.
Con il termine “detrazione” parliamo di somme che consentono di abbattere l’imposta, quindi entrano in scena dopo le deduzioni. Una volta applicate le deduzioni e trovato il reddito imponibile, calcoliamo l’imposta lorda ed è in questa fase che entrano in scena le detrazioni, arrivando quindi all’imposta netta.
Alcuni esempi pratici
Ora che abbiamo chiarito diversi aspetti fondamentali della tassazione delle imprese in Italia è giunto il momento di ricorrere ad alcuni esempi pratici di aziende, facendo esplicito riferimento all’ambito startup.
Devi sapere, a questo proposito, che in Italia le startup innovative (cioè, in base alla definizione del Ministero dello Sviluppo Economico, le “imprese giovani, ad alto contenuto tecnologico e con forti potenzialità di crescita”) hanno accesso ad agevolazioni che comportano sgravi fiscali per chi vi investe.
A partire dal 1° gennaio 2017, per gli investitori che effettuano investimenti in capitale di rischio di start up innovative è disponibile un importante sgravio fiscale (Legge di Bilancio 2017). L’incentivo all’investimento è così configurato:
- per le persone fisiche, una detrazione dall’imposta lorda Irpef pari al 30% dell’ammontare investito, fino a un massimo di 1 milione di euro;
- per le persone giuridiche, deduzione dall’imponibile Ires pari al 30% dell’ammontare investito, fino a un massimo di 1,8 milioni di euro.
A partire dal 2017, la fruizione dell’incentivo è condizionata al mantenimento della partecipazione nella startup innovativa (holding period) per un minimo di tre anni.
Vi è poi un incentivo che prevede una detrazione IRPEF del 50% destinata alle persone fisiche che investono nel capitale di rischio di startup innovative. Le agevolazioni sono concesse ai sensi del Regolamento “de minimis” (Regolamento UE n. 1407/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013).
Tieni ben a mente, inoltre, che una startup (o meglio tutte le persone fisiche, titolari di una partita iva, che esercitano attività di impresa, arte o professione in forma individuale) può avere accesso alla tassazione agevolata in regime forfettario con aliquota al 5% anziché al 15% (per i primi 5 anni di attività), ma solo nel caso in cui abbia determinate caratteristiche:
- non deve avere esercitato nei 3 anni precedenti l’avvio della startup alcuna attività artistica, professionale o d’impresa, anche in forma associata o familiare (l’apertura della Partita IVA nei 3 anni precedenti non determina l’esclusione);
- la nuova attività non dev’essere una mera prosecuzione di altra attività condotta in forma di lavoro dipendente o autonomo;
- nel caso in cui la startup sia la prosecuzione dell’attività di un’altra persona, l’ammontare di ricavi e compensi realizzati prima del riconoscimento del beneficio non deve superare gli 85 mila euro.